un profilo perfetto

 

Li gratti via, i minuti. Li gratti via dalla pelle dei giorni e te li rigiri fra le mani. Pochi, rossi, profumati. Minuti per te, per te e per chi ha scelto di lasciarsi amare dal tuo bislacco dialetto di gesti. Lo puoi fare, nonostante il freddo di un'afa che toglie il respiro, il vento forte delle bugie che minano il tuo lavoro, la sleale risacca dei poi che rode il cuore di tutti i tuoi se. Se li lanci in aria è una pioggia sottile di risate, sguardi, brividi, seni di terra avida di futuro, note, sigle, appunti presi in punta di piedi, in punta di mano, stenografia dell'attimo, rughe di lato allo sguardo, sulla lingua, fra i capelli.
Hai scandito le frasi, le ossa, l'assenza. Hai girovagato fra i sassi cercando, fingendo di non cercare niente. Hai bussato e non erano porte. Hai corrotto quando sarebbe bastato chiedere. Hai limato, sputato, ingoiato. Hai dimenticato ogni cosa perché tutto fosse ricordato. Hai danzato indossando i tuoi abiti peggiori. Hai voluto credere ai miracoli sapendoli cuccioli di un prestigiatore. Hai bevuto la sera, sorso dopo sorso, di notte in notte, e la chiamavi pace, non facevi altro che chiamarla pace...
Dove sei, ora? Come devo chiamarti? Preferisco averla persa, la risposta necessaria.
E con voi cosa c'entro, io? Vi guardo: un profilo perfetto. Due corpi fusi in un abbraccio che è amore raro. Un padre e una figlia che grattano via i minuti dalla pelle dei giorni. Il padre che immaginavo per i miei figli, la figlia che non ho avuto. Vi guardo e tremo e me ne vado, sussurrandoti all'orecchio di goderti questi attimi di tutto, che te lo meriti, te li meriti. Vi guardo e m'innamoro, perdutamente. Di te, di voi. Servirà a niente, può essere. Ma è amore, punto e basta. E sento la voglia di piangere via tanto niente che mi toglie il respiro, tutto il niente che è niente di fronte al vostro profilo nella penombra della sera. E la vostra risata. E due baci sulle guance che sono un arrivederci, sono quasi come una promessa.
E fra pochi giorni sono altri anni ancora. E sono io che scado e mi recupero e devo per forza scegliere con il senno del poi.
BigMolt mi guarda, mi abbraccia con le mani aperte: mio papà sente, non dice e sente e trema insieme a me e tace, questa volta tace. Tace perché a dire farebbe peccato, il peccato di chi ha sempre capito tutto, lo ha sempre capito prima, e per pudore ha lasciato che fosse quanto doveva essere.
Sono giorni strani, questi. E chi vorrei mi chiedesse non chiede. Ho sempre aspettato, io. Aspetterò ancora. Le amiche vere, la poesia, chi scelsi, chi è in debito con me. Aspetto. Aspetto il conto, quello che resta da pagare. Prima poi ci si alzerà e si andrà a fare due passi. Il lungolago è bello. La vita anche, delle volte.


 

Commenti

  1. ...sarebbe bello che il mondo o la maggior parte di quello che cè di mondo, vedesse l'amore come lo vedi tu, con i tuoi occhi e le tue parole...

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  2. Le tue parole sono piene della tua maternità-di-mondo.
    Ed ai miei occhi è trasparente l'onestà con cui allarghi lo spazio intorno, come la forza di riuscire a sentire ancora tanta vastità anche quando non resta ti resta che un granello (di te).
    (forse è importuno ma sono curioso di sapere quando sei nata)
    Davide

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    Risposte
    1. Era d'agosto. Era il 1974. Dicono che i nati come me indossino una criniera. (Poi era dicembre. Era il 1989. Dicono che i nati così al collo portino un ciondolo con scritto "Arrivederci".)

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