trecentodiciassette #13novembre #letterina

 

Signora mia, a lei che al solo nominarmi viene una sincope e le viene a prescindere; a lei che mette l’articolo davanti al mio nome e io non me la sento di restituirle il favore; a lei che duole la vita come se dipendesse da me il niente di cui l’ha farcita; a lei che bercia ipotesi, ipotizza scandali, sente la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità; a lei che dice di gioire per la felicità altrui e intanto imbastisce bamboline piene di spilli ad augurare dolori atroci. Signora mia, sono io ad avere due cose che vorrei proprio dirle. In primis, lei non mi conosce affatto e se mi odia a prescindere non è un problema mio. Potrei augurarle di dedicare le sue energie a sport migliori, e per l’anima e per il corpo, ma non mi ascolterebbe, indi evito.  Lei non ha la minima idea di chi io sia, non per quanto riguarda la mia storia personale, non per quanto riguarda le mie scelte di vita. Non ha idea del se e del come credo in qualcosa, del se e del come mi approccio alla solitudine, del se e del come ho investito sulla qualità dei miei giorni. Lei non ha la minima idea neppure di quello che le capita sotto il naso, non vedo come potrebbe intuire me e la mia complessità di essere pensante. Lei non sa del mio utero, delle mie mani, del silenzio, della gioia, del tempo. Lei ignora non solo le sfumature, ma persino i colori primari del mio stare al mondo. Io, a differenza sua, non ho tempo da perdere a volerle male a prescindere. In realtà di lei non m’importa per niente, poiché nulla le ho tolto, nulla di quello che riguarda me la riguarda. Nulla. Ogni singola briciola che riempie il mio paniere di donna me la sono sudata senza rubarla dalla bocca di nessuno. Non posso dire altrettanto di lei, ma non ho voglia di perdermi in polemiche inutili. Ogni attimo che ricordo lo ricordo denso di onestà e rispetto. Mi permetta una domanda retorica: lei è certa di poter dire lo stesso? Non mi aspetterò mai una risposta onesta, stia tranquilla. Quanto oggi mi appartiene è mio senza che io abbia dovuto forzare serrature, approfittare di debolezze, scandagliare gli abissi della frustrazione per intrufolarmi e portare a casa. Signora mia, le cose accadono. La gente si incontra, impara a volersi bene, è così che capita: il mondo è di chi sorride, se ne faccia una ragione. Signora mia, a lei che vive di sembianze, io non mi metterò a spiegare la sostanza. Mi limiterò a continuare per la mia strada, che sia ben chiaro nulla ha a che vedere con la sua, e se il destino, che è sghembo e anche un po’ stronzo, ci dovesse mettere di fronte, sappia fin da subito che dovrà incazzarsi parecchio perché nemmeno in quell’occasione sbilenca perderò il sorriso. La vita è breve, signor mia, e semplicemente complessa e questa ci hanno dato: se la goda e si elabori i lutti senza rompere le palle a me, che io i miei me li smazzo da una vita da sola e non verrò certo a confidare a lei cosa può significare. La vita è una, signora mia, e sprecarla in rancore è davvero da sciocchi. Poi faccia come le pare. A bientot.

canta che ti passa

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