Se no che gente saremmo


Càpita che è mercoledì ed è stato un giorno ad arco, l'arco che fanno i muscoli per arrivare un pochino più in là. Càpita che esci di casa dopo aver bevuto un caffè aromatico e sono le 21 e 45. Càpita che entri in quel locale lì, quello che si chiama come una canzone, ed è come entrare a Casa, anche se non ci metti piede da tempo. Càpita che parli con Patrizia e ti sembra di aver smesso di chiacchierare con lei cinque minuti prima anche se non la vedevi da troppo. Càpita che mamma Luciana ti abbraccia con gli occhi e ti sale il cuore in gola perché è proprio vero che non vai mai a trovarla. Càpita che è la sera di Gianfelice Facchetti, di suo padre Giacinto, di un libro scritto con le unghie del cuore. Ti siedi lì davanti e ascolti. Ascolti la musica che accompagna il racconto, la memoria mentre danza dalle righe e ti si inchina fra le pieghe della fronte, quel poco di rabbia che rende vere le cose, la gentilezza dei soffi che restano nell'aria quando gli anni tornano all'improvviso ad essere altri anni. Ascolti il possibile, quello che è anche tuo e spesso si chiama perdita, le crepe del quotidiano, le cartoline. Ascolti le immagini e le citazioni ed è come se Teresa la conoscessi a memoria. Ridi, anche della morte, come per comprenderla, come per dirle un addio giusto, che abbia davvero poco di meschino. Angelo, poi, quel libro te lo regala. Allora ti viene voglia di fermarla questa sera bislacca proprio su quelle pagine. Chiedi un segno, con un pennarello blu. Ora il segno è lì e ti sorride. Tutto sembra essere in accordo per un momento piccolissimo: il passato, il presente, la voglia di dire. Forse lo è. E non sei neanche interista, per dire.

Se no che gente saremmo

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