Centro

 

Faccio la punta alle matite. Provo a smaltarmi le unghie (o quello che ne rimane). Riaccendo il fuoco sotto alla caffettiera e userò un'altra tazza, 'ché quella di prima era per il risveglio, questa è per ricominciare una volta di più. Alzo il volume e provo a cantare in rima con l'intonazione che la canzone ha tutto il diritto di pretendere. La voce vinta dalla sigaretta esce rugosa, eppure ha qualcosa di così vero questa grinzosità che finisco con il volerle bene. Il collo è a pezzi e lo amo così. Una pastiglia ancora e anche le vertebre avranno la loro domenica di pace. La protezione di queste quattro mura delle volte è quello che ci vuole. Questione di equilibrio, quello delicatissimo della routine delle ossa, le tue, che stanno bene da sole, mano nella mano con se stesse. Forse dovrei scusarmi per questo, per il modo che ho imparato, questo modo di salvarmi che non permette a certi passi di lasciare orme nel mio spazio. Forse. Non ne sono del tutto convinta. Ci penserò. Guardo i libri poggiati qui accanto. Ne sfoglio un paio in cerca di un gancio. Ritrovo Solomon Silverfish, la sua mole, la sua Sophie. Ma Wallace stamattina non mi è d'aiuto. Sorrido ad Ottilia e alle sfumature di viola di certo amore, ma nemmeno Goethe è la strada giusta. Cerco fra le pieghe di Sofia, della sua femminilità straordinaria, arrogante, fatta di trasparenza e lame. I miei uomini stamattina non hanno fra le mani lo schiaffo che vado cercando. Pazienza. Forse non è uno schiaffo quello che ci vuole, il gancio. Forse è un poco di abbandono, la fragranza di un sogno, gli ingranaggi poco oleati della verità nuda e cruda: forse è solo questo quello di cui ho voglia oggi. Lasciare lì l'urgenza di essere come vuoi che il mondo ti veda e fare un bagno alla te che senti il bisogno di salvare dal mondo. E se deve voler dire attesa, frasi sconnesse, parole buttate via, qualche bugia, parentesi quadre, va bene così. Va benissimo così. È solo una domenica più distratta di altre: non ho davvero tempo di stare qui a volerle male. Ciao.

 

Post scriptum:
Ci ho pensato: no, non devo scusarmi. Si scusi chi non può, non ha voglia di capire e si salva come gli riesce come facciamo tutti. Si scusi chi ha confuso il sonno con la veglia e non ha messo sale sulle proprie ferite. Si scusino i pavidi e gli assassini. Fosse anche solo per il coraggio che difendo con le unghie e con i denti, ho poco di cui scusarmi, solitudine compresa. A bientot.

Commenti

  1. Ci vuole coraggio. A non chiedere scusa. Ci vuole a volercene. Ad accettarsi come si è. A non rinchiudersi e volere il vento, come la pioggia. A volersi bene e ad odiarsi, per giungere al centro di sè. Ad urlarsi in faccia e non giungere alle lacrime. A trattenerne una all'angolo dell'occhio ed incoronarla come perfetta. A guardarsi le zampe di gallina e riderci dietro. Ad accettare le giornate sotto le coperte come necessarie. A tornare a camminare, sorridere e faticare, perchè fa parte della vita. Ci vuole coraggio. Io inciampo. Cado. Mi rialzo. Ancora. Ciao Pulce*

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari