Mi manca Giorgio Gaber #centottantanove #8luglio2018


Mi manca Giorgio Gaber. C'è, ma mi manca. L'idea della sua opinione, la sua pacatezza, la lucida rabbia, l'intelligenza illuminante. Mi manca. E oggi mi manca anche di più, stamattina che mi son svegliata con la consapevolezza che per abbattere i luoghi comuni serve un martello pneumatico al posto della testa 'ché sono un muro di cemento armato. Questo vizio colossale del Voi che arriva dagli Io, quelli che hanno capito tutto, che sanno tutto, che non provano mai a chiudere e riaprire gli occhi per vedere l'effetto che fa rivalutare da capo, accorgersi della differenza. È così facile fare di tutta l'erba un fascio, nel bene e nel male. È così rassicurante, vero? È facile colpire a morte chi è gentile, disponibile al dialogo, chi prova a mettere il rispetto davanti a tutto, chi prova a muoversi in maniera diversa e finisce sempre a sembrare un elefante in una cristalliera. È troppo facile. Poi al potere si lecca il culo, invece. Poi con il potere si gioca a carte. Poi, quando le armi sono scariche, c'è sempre la questione personalissima, il segreto, la confidenza: le prendi e le scartavetri nel muso proprio a chi non lo merita, che a farlo con chi lo merita mediamente quello ti assesta un manrovescio nella faccia. Chi non lo merita invece arretra, sempre per buona educazione o rispetto o perché, magari, ha capito che quel livello lì, quello della ghigna, non gli somiglia per niente e ne uscirebbe sempre e solo devastato. Poi però siamo tutti amici. Poi però si parano i colpi con le botte di lucidità. Poi però, dopo il gioco al massacro, che tanto ha sempre ragione Io, si riparte da capo, si mette sul tavolo il dialogo, si tenta il digestivo. Orbene, scopro, mio malgrado, che al digestivo preferisco il buon vino, una bella bottiglia da stappare e consumare serenamente anche se magari non si è d'accordo su qualcosa, ma ci si guarda tutti dallo stesso piano, non qualcuno dalla portineria e Io che, porco demonio, ti sputa dall'attico, sempre e comunque Io occupa l'attico. E no, non è a Sartre che penso, non all'uomo che guarda dal cornicione, lui, disincantato, e gli viene voglia di schiantarsi sulle formiche di sotto, gli uomini visti dall'alto. Penso a chi ha capito tutto, sa sempre tutto, e, benedetto il cielo, deve sempre e per forza dirtelo. Un conto è avere un'opinione, crederci, svenderti pur di difenderla: questo si chiama fuoco. Un conto è averne sempre una migliore del tuo interlocutore, comunque, per una sorta di spocchia ancestrale, a prescindere da chi hai davanti. Ma chi sei? Ma perché? Ma cosa ti hanno fatto per essere tanto incazzato, caro Io? Non avrai mica sbagliato investimento e hai la borsa emotiva che perde, perde, perde... Beato te che la faccia ce la metti e poi la togli, tanto in qualche modo sei e resti al sicuro. Beato te. Purtroppo alle persone gentili non succede così. Le persone gentili poi ci soffrono, ci rimettono e non è sempre di quattrini che si deve per forza parlare. Ci sono perdite che fanno più male della povertà, prova ne è che se sei senza soldi magari li chiedi, se resti senza fiducia non c'è un cane che te ne porta una briciola gratis. Anzi, se possibile ti tolgono anche la storia, la tua, quella personale, e la disfano: prendono la tua unicità e ne fanno un cencio con cui spolverare le proprie certezze. Orbene, ascolto Giorgio Gaber e un pochino mi rincuoro. O forse no. Ma va bene così. Almeno fra le sue righe sento empatia, umanità, desiderio. Ecco. E buona domenica, tanto poi in un angolo del cuore certo bene, anche se riposto malamente, in disordine, resta bene. E così sia.



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