puzzle (11)
Epoche. Di amore e silenzi. Di mani piccolissime che stringono forte e spalle larghe che tremano rabbia. Di occhi che aprono strade e sguardi che alzano muri. Di sorrisi che sbucano dal cuore e schiaffi che piovono dal nulla. Di pioggia che tiene compagnia e sole che non riesce a scaldare. Epoche. Di conferme e delusione. Di passione e formiche. Di canzoni che sono la mia schiena e voci che non le meritano.
Sabato sera, ancora una volta, questa volta ancora più di altre, sono stata percorsa da sangue nuovo. Sangue. Parola su parola, una nota dopo l'altra. Dita, tendini, ciglia, labbra: tutto affilato al pomice dell'urgenza, quella profetica delle cose come vanno dette, come sono da farsi. Anche le risate. Anche la poesia. Tutto. Livorno come una culla, casa, spiraglio, futuro. Senza bisogno di fronzoli. La chiave infilata al cruscotto di una macchina ad orologeria, clessidra di un tempo denso, madido del poi che riscelgo. Alle spalle il peso, quello invisibile della pretesa.
Epoche. Di libri letti a perdifiato. Uno dopo l'altro. Come fosse l'unica cosa possibile da fare, da farsi. Frasi sottolineate quasi a bucare il foglio. IO scritti a bordo pagina, quasi le parole altrui t'avessero stanata da dove spesso ti ficchi, ti nascondi.
Delusioni cocenti e conferme straordinarie. Piccolissime cose mosse dal tuo qui a quel lì per fare aria buona attorno a troppo caos, a troppo niente addobbato a festa. Piccolissime, straordinarie cose mosse da certi lì al tuo qui per il semplice gusto di respirarla, la vita, e farlo con te dentro. Respirare la vita con qualcuno dentro. Non troppi, non tutti, ma qualcuno sì, scelto, voluto, protetto, tenuto saldamente, con la fatica che costa, con la leggerezza che porta.
Ci cade a pezzi il mondo e non ci è dato girare la testa dall'altra parte. Eppure ci si ostina. Stolti. Alla guerra dei concetti e delle posizioni. Sempre. Come non servisse fermarsi un momento e tirare semplicemente il fiato, magari piangendo la sorte meschina che è toccata in sorte a troppi di noi, nello stesso preciso momento. La commozione come un mastice che leghi a quanto conta. La tristezza che abbia un senso, che sia d'uso non abuso. Che porti consiglio, coraggio, che sia come dovrebbe essere. Che serva a ripartire. Magari nuovi. Magari un pochino meno ciechi.
Egocentrici o narcisisti. Conta così tanto? Non sarebbe meglio integri, limpidi, esposti al di là di tutta questa nudità apparente? Non sarebbe meglio nudi nelle intenzioni, nell'intuito, nel darsi, piuttosto che denudati, con gli attributi in vista, a guardare il mondo da un fico spacciandolo per trono? Troppe domande. Vado a bermi un vino nella solitudine delle mie stanze. Buonanotte.
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