Andare Dove Come Quando #novantotto #7aprile2020

Alzo le mani. Davanti al panico, proprio e improprio, alzo le mani. Sono disarmata, a mani alzate. Alzo le mani e chiedo venia. Per la consapevolezza e il disincanto e le gocce per dormire. Per l'empatia, quella che nessuno l'aveva chiesta. Per le conte, le graduatorie, il pudore spudorato del sorriso nonostante tutto. Alzo le mani e guardo in faccia l'assassino. Non sparerà, non è quello che intende fare, non ancora. Mi punta un dito e mira alla gola. E io alzo le mani. E chiedo venia. Per i silenzi presi e non restituiti. Per le maschere. Per i fastidi e quella voglia di scardinare i ruoli, tutti, uno alla volta, pedissequamente, senza pietà. Per la voce alta, che si alza per colpa del fiato, che deve prenderne, non ha altro modo. Alzo le mani, mi arrendo, dico la verità, la mia, come posso, come viene, 'ché niente sarà più uguale e di questo sono grata, molto invece resterà intatto e questo mi fa paura. Ho paura della distanza, che possa diventare abitudine. Ho paura che no, non sarà meglio, perché se oggi non troviamo nemmeno le parole chissà i gesti come dovranno pesare quando sarà il momento. Mi fa paura la rabbia. Mi fa paura la gerarchia delle conseguenze. Mi fa paura la paura che mi fanno cose che non mi hanno mai fatto paura. Alzo le mani, mi arrendo. E quel dito puntato alla mia gola non è altro che tempo, una lama di tempo, troppo tempo, troppo poco tempo che diventa un deserto di tempo, un pugno di tempo dritto nello stomaco, prima che ce lo si possa aspettare, prima della conta, eppure eravamo tutti in fila, non mancava nessuno, il treno è partito, indietro non si torna, vorrei aver guardato bene nei bagni prima di dire che era tutto a posto e andare, via andare, andare dove come quando. A mani alzate piene disadorne -  a mani basse ingorde meschine. Sono delle belle mani, mi dice. Non ti credo, rispondo. Staremo a vedere. Cosa? Cosa.




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