poi è stata domenica

 

Io, con i miei capelli da compagno di scuola (il calciatore, quello che poi lo corteggiano tutte ma non lo vuole nessuna), il cappotto marrone e un bel tacco dodici, ieri sera ho pianto. Ho pianto per malinconia, per tenerezza, per amore. Ho pianto perché indovinata, soccorsa, schiaffeggiata, tenuta per mano. Ho pianto, nella pancia e dagli occhi. E ho riso. Ho riso forte, come se ridere venisse dalle costole, come fosse il cappello indossato alla faccia del freddo barbino. Da tanto, tanto tempo, non stavo così profondamente bene (e tanto può essere anche un giorno se i giorni ti durano un millennio o  ti scappano via come faine incazzate). Libera e liberata. Ci riesce solo la musica. E non una musica qualunque. Ma la loro. La loro musica mi vuole bene, io lo sento. Forse me ne vuole perché io ne voglio tanto a lei. Ma tanto. Perché è mutata in vita vera, perché dopo essere stata salvagente è divenuta onda, perché c'è sempre, perché mi ha presa in cambio di niente, perché mi ha condotta ai luoghi del senso passando dai nonsensi tutti, perché mi ha regalato amicizia, complicità, il mare. Cose di famiglia, insomma. Quella che ti costruisci giorno dopo giorno, senza la quale manca uno scalino in direzione te. Cose di barbe, occhiali, occhiaie, pacche sulla spalla, guance rosse, ironia, fame, parole con le doppia, acqua da bere, rincorse, sguardi che non ti lasciano, che non lasci, foss'anche ti toccasse sporgerti di più, un poco più in là.

Poi è stata domenica.

26 febbraio 001

26 febbraio 007

26 febbraio 011

26 febbraio 013

27 febbraio 007

Ci sono giorni possibili Altri mondi immaginabili Fin che siamo giovani

 

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