1990

 

Nel 1990 io scrivevo "ti voglio un pacco di bene" e davo del tu al mio diario. Ascoltavo Vasco Rossi, pare, in quel lontano primo febbraio (in copertina però appiccicavo i The Cure, mica robetta) e, cito testualmente, "oggi piove ed è scuro, la nebbia vela ogni cosa, ma il mio cuore è stranamente limpido". Sullo STRANAMENTE, oggi, con il senno di poi, mi faccio delle domande. Un giorno o l'altro, di grazia, mi toccherà rispondere.  "A volte riesco a rinascere sulle note di una semplice canzone: adoro la musica e quello che può dare a chi la ascolta, credo sia qualcosa di essenziale per me". Pare avessi una cotta (COTTA???) per il fratello di una mia amica ma amassi disperatamente il sempiterno Mich. Per diritto di cronaca, Mich oggi è sempre bellissimo, è stra-sposato, ha messo al mondo due creature con la sua bellissima moglie. Io no. Che abbia a che fare con quella limpidezza solo a tratti? Non indaghiamo. "Ho paura di scoprire stupido ciò in cui credo". Sono alla prima pagina di una Smemoranda alta un palmo e pesante come un mattone, tutta scritta in un minuscolo così cavilloso che mi si spaccano gli occhi. Sono solo alla prima pagina e ho già paura. Del gergo, del vulcano che si intuisce fra le righe, della consapevolezza che sbircia dall'idioma adolescenziale. Che effetto fa ritrovarsi, ritrovare i segni lasciati in un momento in cui a tutto si pensava tranne che alla memoria. Era uno svuotarsi, un attaccarsi a  qualcosa per non affondare. Forse lo è ancora. Forse non è cambiato niente. Se non che oggi, probabilmente, a scrivere "un pacco di bene" mi prenderebbe una sincope.

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