diversamente infelici
"Uscendo da casa di Ass, mi trovo a pensare com'è curioso che uno che si sente guasto nel profondo possa ancora valere l'amore di qualcuno. Che si tratti di un padre disgraziato che dorme sotto una tenda d'ossigeno, o di un coglione come me che non fa che mettere in fila fallimenti, poco importa. Siamo la stessa cosa. Diversamente infelici che si arrabattano come possono perché non tutto vada perso.
All'amore, io, non ho mai chiesto di salvarmi la vita. Mi è bastato che ci fosse quando ne sentivo la mancanza, che non mi abbandonasse. Anche quand'era sgangherato e ridicolo, non l'ho mai lasciato andare."
(Diego De Silva, Mia suocera beve, Einaudi, 2010)
Gli vuoi bene a Vincenzo Malinconico. Finisce che gli vuoi bene. Lui è così. Talmente vero e palpabile, così nudo e crudo che non puoi non volergli bene. A quel modo arruffato di dire dei giorni, ciò che i giorni sono: noia, amore, frustrazioni, ironia, bellezza, paure, ansie, tradimento, abbandono, piacere. A quella lungimiranza garbata e controproducente. A quella lucidità materiale e angelica. A quell'essere angelo custode dei perdenti, coloro che infine vincono con tutta la normalità che li sostiene. Alla sua, di normalità, sfacciata e vergognosa, timida in qualche modo, arrogante del gusto spicciolo delle mani messe in tasca per proseguire, farlo sempre, anche se in qualche modo, la verità.
Suggerisco a Vincenzo qualcosa che amerebbe canticchiare all'orecchio di una dea in un bar del centro. Come a dirgli grazie. Come a dirgli torna.
Con le altre si, con le altre si che lo farei ma con te mai
devi fermarti poco prima degli spasimi
toccami le scarpe di vitello blu, sei tu sei tu sposami
come sei così bella, sei come la mia mamma
cantami la ninna nanna
Lo vedi che ho la febbre, la febbre delle isole
febbre, ormai parlarmi è inutile, passami le pillole.
Ho fatto un sogno, ho visto un mondo nuovo
dodici Elvis volanti paracadutati sopra il Caesar Palace.
Rimani, rimani, liberami le mani, giochiamo ancora a ping pong
come due bravi senatori romani.
Lo vedi che ho la febbre, la febbre delle isole
febbre, ormai parlarmi è inutile, passami le pillole.
Scrivi, scrivimi pure la mia biografia
ma per favore devi dire che sei stata solamente mia,
vedi che la moglie di cesare
deve restare al di sopra del sospetto, ma siediti sul letto
Non vedi che ho la febbre, la febbre delle isole
febbre l’oceano ormai è pacifico
dammi un anestetico.
(Caesar Palace, Virginiana Miller, Gelaterie Sconsacrate, 1997)
(Giulia Blasi, Il mondo prima che arrivassi tu, Mondadori, 2010)
lo vedi c'ho la febbre.
RispondiEliminaooh, febbre.